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Trattamento Unico per le Dipendenze (TUD)

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una Dipendenza Patologica è una “Condizione psichica, talvolta anche fisica, derivante dall’interazione tra un organismo e una sostanza, caratterizzata da risposte comportamentali e da altre reazioni che comprendono un bisogno compulsivo di assumere la sostanza in modo continuativo o periodico, allo scopo di provare i suoi effetti psichici e talvolta di evitare il malessere della sua privazione”.

La sostanza cui si riferisce l’OMS non è soltanto la “droga” tipica delle tossicodipendenze, ma riguarda anchel’uso di specifiche attività come il gioco d’azzardo, il sessoo internet. In questi casi il fenomeno della dipendenza non viene indotto dall’assunzione di una  sostanza psicotropa, ma dalla messa in atto di una condotta altamente gratificante.

Sia nelle dipendenze da sostanza che in quelle comportamentali (o senza sostanza) è possibile rinvenire  la presenza di fenomeni comuni, come il   craving, la tolleranzae l’astinenza.

Con il termine craving, in italiano bramosia o desiderio impulsivo, ci si riferisce al bisogno incoercibile di assumere una sostanza o di ripetere un comportamento. Nell’istante in cui si manifesta, la sostanza o la condotta diventa la cosa più importante. E’ possibile raggruppare i sintomi che la accompagnano in tre gruppi:

  • Sintomi Fisici: tremori, sudorazione, perdita di coordinazione, convulsioni;
  • Sintomi Cognitivi: pensieri centrati sul desiderio (ad esempio “devo farlo ora”);
  • Sintomi Psichici: ansia, irritabilità, insonnia, sintomi depressivi.

La tolleranza invece si verifica quando una data dose di sostanza o di condotta patologica, dopo somministrazioni ripetute, produce un effetto progressivamente minore.  Il fenomeno della tolleranza, quindi, spiega il motivo per cui gli utilizzatori abituali, nel lungo termine, abbiano bisogno di dosi sempre maggiori e ripetute per poter sperimentare lo stesso effetto di piacere provato nelle prime esperienze.

Infine l’astinenza riguarda l’insieme dei sintomi che compaiono quando si è lontani dalla sostanza/condotta patologica.L’intensità di questi sintomi varia a seconda della gravità della dipendenza, e solitamente investono sia la sfera fisica che psicologica.

  • sintomi fisici:  nausea e vomito, diarrea, astenia, insonnia o ipersonnia, bradicardia, aumento dell’appetito, mal di testa, dolori muscolari, dilatazione delle pupille, iperidrosi, rinorrea, crisi convulsive.
  • sintomi psicologici: alterazioni dell’umore, agitazione e irrequietezza, rabbia e irritabilità, frustrazione, disforia, stati d’ansia, difficoltà di concentrazione.

Sia le forme di dipendenzada sostanza che quelle comportamentali attivano il medesimo sistema cerebrale di ricompensa. Questo sistema consente di apprendere dall’esperienza, e consiste nel ripetere quello che in noi produce sensazioni di gratificazione e benessere e scartare ciò che non lo fa. Il nostro cervello, ogni qual volta sperimentiamo momenti di piacere, libera alcune sostanze che funzionano da rinforzo a quello stesso stimolo, rimarcandolo. Il circuito di reward, funziona attraverso la messa in circolo della dopamina, rilasciata ogni qual volta proviamo gratificazione, sia di tipo fisico che di tipo psicologico

Si evince quindi come tali similitudini possano sottendere un medesimo percorso terapeutico, di tipo multimodale, che da qui in avanti chiameremo TUD, Trattamento Unico per le Dipendenze .La multimodalità implica la capacità del team di lavoro (psicologi, psicoterapeuti e psichiatri) di utilizzare differenti formati di terapia (individuale, coniugale, familiare, di gruppo) nel processo di guarigione.

1. Richiesta di aiuto.

Solitamente  non è il paziente a richiedere l’intervento del clinico, ma uno dei suoi familiari  che preoccupato per l’ennesimo episodio di abuso rompe gli indugi e contatta il professionista. Il tempo che intercorre tra il primo contatto telefonico e l’appuntamento a studio può essere molto importante, poiché, se troppo lungo, può comportarepericolosi ripensamenti nel paziente ma anche nel familiare.  Quest’ultimo nella sua battaglia quotidiana contro la dipendenza, tende ad oscillaretra due modalità comportamentali distinte e opposte: il controllo e la sopportazione. La prima può arrivare al monitoraggio di tutte le attività del paziente, provocando reazioni di rabbia e menzogna, e rispondealla ferma convinzione che in questo modo il paziente uscirà dalla spirale patologica.  La sopportazione, e in particolare la giustificazione, spingono, invece, il familiare ad accondiscendere alle richieste del paziente, emancipandolo dalle sue responsabilità, quindi rinforzando il problema della dipendenza. Sia l’uno che l’altro atteggiamento, benché condivisibili sul piano umano,rischiano non solo di non produrre alcun effetto, ma anche di ostacolare il lavoro del professionista che prende in carico il paziente.

Dal momento del primo contatto,  il professionista prenderà in carico non solo il paziente ma anche il suo ambiente familiare, che come si vedrà più avanti sarà tenuto ad uniformarsi a specifici criteri terapeutici. Il coinvolgimento e la collaborazione di uno o più familiari, come ben riportato dalla letteratura disponibile in materia, è un elemento cruciale  nel trattamento di una dipendenza patologica.

2. Colloqui motivazionali.

La dipendenza, più di altre problematiche di salute mentale, comporta per il professionista  uno sforzo abnorme per motivare il paziente al superamento del proprio problema. Nonostante che la sua vita diventi giorno dopo giorno  sempre più penosa e  insostenibile, proprio a causa degli effetti della  dipendenza, il paziente tenderà lo stesso a ripetere all’infinito le proprie condotte patologiche, nonché a sminuire la reale portata del problema, se non a negarlo completamente. (come vedremo meglio dopo si parlerà di egosintonicità).  L’alcol, la cocaina, il gioco d’azzardo ecc, di sicuro offrono un rinforzo intenso: le sensazioni piacevoli che innescano sono così potenti da spingere il paziente a reiterare i comportamenti di abuso e dipendenza, nonostante i pesanti effetti collaterali.  Se parliamo di motivazione al cambiamento, e quindi  anche di motivazione alla terapia, appaiono quanto mai cruciali due fattori psicologici: la frattura interiore e il senso di auto efficacia. Con il primo termine si intende un disagio, una sofferenza che può provare una persona che sente di non essere come vorrebbe essere. L’obeso chevorrebbe diventare magro, ad esempio,sperimenta un elevato senso di frustrazione corrispondente ad una elevata frattura interiore. Per autoefficacia s’intende invece la fiducia che la persona ha delle proprie capacità di attuare il cambiamento. Se la persona obesa dell’esempio precedente  confida nelle proprie capacità di sostenere e portare avanti una dieta riporta un elevato senso di autoefficacia.

E’ bene precisare che il trattamento terapeutico dovrà avere come finalità il raggiungimento dell’astinenza assoluta dalla sostanza / attività incriminata e non la semplice moderazione. “L’astinenza perfetta è più facile della perfetta moderazione”, diceva  S. Agostino, e ciò appare ancora più vero nel caso della dipendenza, a causadi una serie di aspetti clinici che sottendono tale condizione, come la dicotomiatutto / nulla.  Ad esempio il paziente alcolistatenderà a berequantità di alcool elevate per raggiungere l’effetto psicotropico desiderato piuttosto che fermarsi al secondo bicchiere di vino. Allora diviene paradossalmente più facile per lui non bere affatto piuttosto che cercare di controllarsi.

Il buon esito della terapia dipenderà anche dall’articolazione di un percorso che potrà essere realmente efficace se non modificato nelle sue parti. E’ tutt’altro  che infrequente , infatti,  il tentativo del paziente di prendere dal trattamento quello che più gli aggrada,  rifiutando tutto quello che gli appare troppo impegnativo o addirittura umiliante.

3. Psicoterapia individuale

Il processo terapeutico mira a rendere il paziente  sempre più consapevole delle emozioni  e dei pensieri connessi alla problematica della dipendenza, con il fine di trasformare il momento del consumo, ovvero di uso  della sostanza o dell’attività, da automatico a volontario. Il paziente, infatti, soprattutto nelle prime fasi del trattamento, può manifestare la sensazione, o peggio la convinzione,  di essere impotente di fronte a situazioni vissute come ineluttabili, e conseguentemente de-responsabilizzarsi. Al tempo stesso può anche capitare il fenomeno opposto, ovvero che il paziente percepisca la problematica della dipendenza come un evento facilmente controllabile e quindi superabile. “Smetto quando voglio”. In questo caso il pensiero del paziente diventa “magico”, immaturo, superficiale se non palesemente divergentedalla realtà.

Ma i problemi che una psicoterapia individuale deve affrontaresono innumerevoli, poichèla dipendenza patologica comporta unaelevata cronicità, recidività,comorbilità ed egosintonicità. Con il primo termine  si intende la lunga duratadella patologia, che talvolta accompagna il soggetto per tutta la vita. E’ raro, quindi, che la dipendenza si instauri solo per un breve periodo senza più ripresentarsi, o meglio recidivare, in futuro. Quando questo accade si parla di ricaduta ed è un momento sempre molto delicato per il clinico, dato che può scoraggiare il paziente e gli stessi familiari dal continuare la terapia. Per comorbilità si intende invece la presenza nello stesso paziente anche di altri disturbi mentali. Rispetto alla popolazione generale chi ha una dipendenza patologica, in particolare dalle droghe, ha il doppio delle probabilità di soffrire di disturbi dell’umore o di ansia o di altre patologie mentali. L’egosintonicità, infine, implica che il paziente riconosca la propria dipendenza non come un disturbo da affrontare e combattere piuttosto come un elemento integrante la propria personalità. Per tutti questi aspetti è importante che il trattamento, e la psicoterapia individuale nello specifico, tenga conto della complessità del fenomeno e di come questo si inserisca nell’ambiente familiare, lavorativo e sociale circostante.

La somministrazione di specifici strumenti psicodiagnostici, come l’MMPI o simili,permettein questo senso, non solo di evidenziare la complessità del fenomeno,  maanche come questo si inserisca nella personalità del paziente. Ciòconsentirà di dirigere e influenzare meglio le sedute successive  che avranno, come già detto, l’obiettivo di sospendere, e non semplicemente ridurre, l’uso della sostanza o dell’attività incriminata. Proprio perché si parla di un disagio complesso è importante che siano messi in campo più strumenti possibili, comela prevenzione delle ricadute,l’uso di forme di piacere sano (relazioni, hobby, sport, ecc.), antitetiche a quelle tossiche,la gestione del craving, come pureil monitoraggio economico. Quest’ultima tecnica parte dall’esigenza di limitare l’uso del denaro da parte del paziente per limitare anche, o quanto meno ostacolare, il ricorso alla sostanza o all’attività incriminata. Più soldi il paziente avrà in tasca e maggiore sarà la sua propensione a procacciarsi ciò che gli da piacere. Proprio per questo motivo il familiare del paziente dovrà provvedere a ritirare le carte di credito o il bancomat del paziente, a cointestargli il conto corrente nonché a contingentare il suo denaro giornaliero.

L’impegno e la collaborazione del paziente prima ancora di essere testata su i risultati ottenuti  (se e quanto riesce a stare lontano dalle condotte patologiche) verrà valutata sulla partecipazione dello stesso alle sedute e alle attività proposte. Può sembrare banale dirlo ma sarà soprattutto questo a decretare il successo o l’insuccesso della terapia.

4. Psicoterapia di gruppo

L’utilizzo dello strumento gruppale nella clinica delle dipendenze patologiche è da sempre stato considerato, una delle vie elettive per il trattamento delle dipendenze patologiche in generale.  Il sostegno reciproco, la catarsiemotiva e le esperienze di apprendimento interpersonale favoriscono non poco il  riconoscimento della patologia, con tutte le insidie cognitive e comportamentali a  cui il paziente va incontro.

Il lavoro sulle storie personali è il cuore del lavoro in gruppo. Accanto al lavoro sugli aspetti più legati alla dipendenza, compresi gli episodi di ricaduta, nel contesto gruppale  viene approfondita la storia personale che ha generato il malessere psicologico e condotto il paziente nel tunnel della dipendenza.

La motivazione al cambiamento viene considerevolmente accresciuta dalla presenza dell’altro, come anche la presa di coscienza dei propri valori e aspirazioni. Queste un tempo guidavano la vita del soggetto, favorendo scelte, obiettivi da raggiungere o pericoli da evitare, ma chead un certo punto, sono state oscurate dalla dipendenza patologica.  Da questo punto di vista l’astinenza dalla sostanza o dall’attività non è il fine, ma il mezzo con cui il paziente può preservare la sua salute e ricostruire una vita piena di significato.

Un aspetto particolarmente importante e che si registra invariabilmente in ogni esperienza di gruppo  è  l’aiuto che i pazienti più anziani forniscono spontaneamente a quelli appena entrati. Il contatto con chi ha già sospeso la condotta patologica, offre a chi si trova in fasi più iniziali del trattamento, l’esempio concreto che si può uscire dal tunnel, rispondendo alla domanda “ma qualcuno smette davvero?”

Gruppo di sostegno ai familiari

Il coinvolgimento del familiare, nonché la sua collaborazione, come già detto, è una risorsa importantecheil professionistanon può lasciarsi sfuggire. Poiché il paziente trascina nelle proprie sventure l’intera famiglia, con le conseguenti difficoltà sociali, lavorative, economiche e relazionali, diviene quanto mai importante sostenere il coniuge o il padre nella sua sofferenza. Nel gruppo riaffiorano ricordi, immagini, sogni e momenti di forte drammaticità, che il familiare condivide con  gli altri familiari così da favorire un senso di appartenenza e rispecchiamento fondamentali: “non mi sento più solodi fronte a questo problema, anche loro hanno passato il mio stesso calvario”. Attraverso il rispecchiamento con l’altro e i consigli del conduttore del gruppo, il familiare arriva ben presto a perfezionare la propria relazione con il paziente così da non ripetere gli errori del passato. Un errore comune a molti familiari è la codipendenza:la codipendenzaè una dinamica per la quale una persona viene influenzata in modo eccessivo e quindi patologico dal comportamento di un’altra persona che cerca al contempo di controllare o correggere. Colui che si lega ad un alcolista, un giocatore d’azzardo o un tossicodipendente è animato dalla speranza di salvarlo, di guarirlo dalla dipendenza. Dedica la propria vita al recupero dell’altro, lotta. Sopporta umiliazioni, sacrifici, deficit economici, a volte vere a proprie violenze fisiche. Eppure resta intrappolato nella relazione, vi si aggrappa, non demorde. Il partner ha una dipendenza da una (non) sostanza, il codipendente ha una dipendenza dal partner.

Terapia farmacologica

La terapia farmacologica viene usata, prevalentemente, per gestire i sintomi dell’astinenza e prevenire le ricadute. In primo luogo, quindi, i farmaci aiutano a eliminare i sintomi dolorosi che si manifestano durante la disassuefazione e ad evitare che si ricominci ad assumere la sostanza: questo non costituisce, in sé, il trattamento, ma rappresenta un primo passo indispensabile per il cambiamento. I disturbi psicologici eventualmente compresenti, inoltre, potrebbero contribuire al mantenimento della dipendenza: il loro trattamento è un ulteriore obiettivo che facilita la disassuefazione. Spesso si riscontra come la dipendenza risponda ad una condizione depressiva non compresa e non trattata in precedenza, diventando, quindi,  una sorta di antidepressivo tossico con cui fronteggiare i pesanti vissuti depressivi: “quando gioco alle slot tutti i miei problemi scompaiono”.

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